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Intervista a GAETANO D’AURIA per Dietro le Quinte n. 4/2024
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Intervista a GAETANO D’AURIA per Dietro le Quinte n. 4/2024
IL RUOLO DELLA CORTE DEI CONTI E LA SOSTENIBILITÀ
DELLA FINANZA PUBBLICA AI TEMPI DELLE CRISI
Intervista a
GAETANO D’AURIA
Già Presidente di sezione della Corte dei Conti
I parte – L’esperienza di un magistrato e studioso della contabilità pubblica
- Cosa l’ha spinta a intraprendere la carriera di magistrato alla Corte dei conti?
Avevo già superato diversi concorsi per l’accesso a carriere direttive in pubbliche amministrazioni. Per ragioni che non sto a dire, avevo dovuto abbandonare l’ambizione di fare ricerca all’Università, ma continuavo a studiare, collaborando anche a una rivista (la “Rivista giuridica del lavoro”), che fu, per me e per molti altri della mia generazione, un luogo importante di impegno, di riflessione sul metodo giuridico, di maturazione culturale e civile. Ero, quindi, sufficientemente “allenato” allo studio. Inoltre, era abbastanza naturale che, fatti i primi concorsi, i giovani funzionari guardassero ad altri concorsi, più difficili ma che aprivano migliori prospettive e soddisfazioni, anche di natura economica. Così, una volta maturati i requisiti di partecipazione al concorso per la Corte dei conti, vi partecipai e lo vinsi.
In precedenza, e in occasioni diverse, avevo comunque conosciuto alcuni magistrati della Corte, che pure mi avevano incoraggiato ad affrontare il concorso: Romeo Ferrucci, studioso di diritto del lavoro e firma autorevole della “Rivista giuridica del lavoro”; Vittorio Guccione e Francesco Battini, impegnati nel primo “movimento culturale” per l’ammodernamento della Corte, che ebbi modo di conoscere in occasione di una ricerca su “Le retribuzioni indirette nel pubblico impiego” diretta da Sabino Cassese (che era stato mio docente del “corso di formazione” presso la Scuola superiore della p.a., cui erano inviati a partecipare i nuovi funzionari dei ministeri); Mario Colacito, che mi consentì di frequentare la Biblioteca della Corte dei conti, di cui lui fu a lungo sovrintendente.
- Nell’arco della sua lunga esperienza di magistrato e studioso, quale pensa sia stato il peggiore momento di crisi del sistema finanziario italiano?
Ricordo, in particolare, la crisi del 1992, quando fu fatta una manovra finanziaria senza precedenti che superò i 90.000 miliardi di lire, accompagnata da una serie di drastiche decisioni di politica economica e, in questo contesto, dall’approvazione di deleghe legislative per la riforma di settori cruciali dell’economia e della finanza pubblica. A un duplice scopo: il risanamento del bilancio dello Stato (colpito dall’emergenza di un debito pubblico fuori controllo) e l’ammodernamento della macchina pubblica (cui si attribuiva un ruolo determinante nella risalita dal fondo della crisi).
La Corte dei conti compì, per parte sua, una serie di analisi (come aveva, in realtà, già fatto, lanciando vari allarmi negli anni precedenti) di notevole interesse per contribuire a decifrare le ragioni della crisi e le attendibili vie d’uscita dalla situazione di grave compromissione delle finanze pubbliche. Una delle cose più importanti, collegata alla manovra, fu che la crisi e la ricerca delle possibili soluzioni misero in moto una serie di riforme, tutte di grande rilievo: sanità e previdenza, in primo luogo; e poi la privatizzazione delle imprese pubbliche, che appariva una via obbligata nel contesto delle nuove regole europee sulla disciplina della concorrenza, e quella del pubblico impiego (che si proponeva di realizzare un unico mercato del lavoro, con regole comuni al lavoro pubblico e al lavoro privato), la quale diede inizio, fra l’altro, a un primo (parziale ma rilevantissimo) mutamento delle competenze di controllo della Corte dei conti. Furono infatti cancellati, d’un sol colpo, i controlli preventivi di legittimità su gran parte degli atti amministrativi che contrassegnavano la carriera dei pubblici dipendenti.
Di quella stagione fu anche figlia la riforma generale dei controlli, avviata con un decreto-legge approvato all’inizio del 1993 e giunta in porto, dopo quattro reiterazioni, con la legge n. 20 del 1994. Ne scaturì un autentico rivolgimento del quadro dei controlli: da un sistema fondato su generalizzati “controlli preventivi di legittimità” e con controlli sui risultati della gestione in posizione del tutto marginale e secondaria, si passò a un sistema di “controlli sui risultati” applicato all’universo delle pubbliche amministrazioni e di controlli preventivi riportati entro l’area degli “atti del Governo” (e non “delle pubbliche amministrazioni”, com’era stato fino ad allora), secondo l’indicazione – rimasta a lungo ignorata – dell’art. 100, comma 2, della Costituzione.
- C’è qualche aneddoto interessante sulle dinamiche interne alla Corte dei conti che ci potrebbe raccontare, anche rispetto ai vari ruoli che ha ricoperto nelle sue diverse articolazioni?
Uno dei momenti più ricchi di significato fu – come ho appena detto – l’approvazione, nel gennaio del 1994, delle due leggi di riforma della Corte dei conti (oltre alla legge di riforma dei controlli, vi era anche una legge di parziale riforma delle funzioni giurisdizionali). Dopo una problematica gestazione, caratterizzata da resistenze di ogni genere all’interno e all’esterno della Corte, prevalse la volontà riformatrice del Parlamento, sostenuta da un governo tecnico (Ciampi) di cui era ministro della funzione pubblica Sabino Cassese. La riforma era stata fortemente richiesta dal Presidente della Corte dei conti (Giuseppe Carbone, col quale ebbi la fortuna di lavorare, come “magistrato addetto alla Presidenza”, per tutta la durata del suo mandato), che godeva però di scarsissimo sèguito all’interno della Corte, avendo posto, fin dal suo insediamento, la riforma (con ciò che essa comportava in termini di innovazione-perturbazione rispetto a prassi secolari) come motivo primo e determinante del suo impegno. Si trattò di un traguardo importante, per la Corte e per quanti credevano nella necessità di aggiornare l’esercizio delle sue funzioni di controllo, con la valorizzazione – come del resto prevedeva, ripeto, da oltre quarant’anni, la Costituzione – dei controlli “di risultato” (ovvero sull’effettività e la qualità dei risultati conseguiti dalle amministrazioni con le risorse dei bilanci pubblici): il che voleva dire, da un lato, abbandonare le verifiche di mera conformità a legge di una serie sterminata di atti amministrativi (verifiche per lo più formali ed esteriori, intrise – oltre tutto – di vere e proprie negoziazioni fra ministeri e Corte dei conti circa la rispondenza di quegli atti alla trama delle prescrizioni – solitamente estesissima – che delimitano l’esercizio del potere amministrativo in concreto esercitato); dall’altro lato, e – certo – senza negare il valore del principio di legalità, affrontare la sfida di elaborare strumenti e tecniche per misurare – con i criteri dell’efficienza e dell’efficacia – gli effetti prodotti da quegli atti, i loro costi reali, la loro coerenza con gli obiettivi programmati, i benefici che ne siano derivati per la collettività.
Inutile dire che, per completare la riforma, sarebbe stato necessario munire la Corte di professionalità anche diverse da quelle dei magistrati-giuristi: che sono importanti, beninteso, ma non sufficienti a misurarsi, nell’esercizio del controllo, con l’intero spettro delle competenze e delle conoscenze impiegate nelle attività amministrative. La realtà, come si sa, ha seguito una via diversa – vorrei dire opposta – a quella che sarebbe stato necessario seguire per attuare appieno la riforma. Esaurito il primo slancio riformatore e con l’uscita dalla Corte di Giuseppe Carbone, ripresero vigore le posizioni di quanti guardavano ai vecchi controlli di mera legittimità come a una specie di “paradiso perduto”. La Corte dei conti è, così, riuscita a trasformare (vorrei dire a trasfigurare) i controlli di risultato in controlli di legittimità, da condurre con gli stessi parametri dei controlli di tipo preventivo, oltretutto assimilando questi controlli a una funzione di natura giurisdizionale. Ma è stata un’operazione che non ha fatto da sola, poiché ha avuto come “sponde” sia il governo e il legislatore (non essendo interesse dei governi coltivare lo sviluppo di autentici controlli sui risultati delle gestioni da essi realizzate), sia la Corte costituzionale e una parte della dottrina giuridica. Inoltre, le norme che erano state studiate per far accedere alla magistratura della Corte laureati in economia e statistica sono rimaste, prima, a lungo inattuate e, infine, sono state neutralizzate (con l’eliminazione di ogni “riserva” di posti a favore dei laureati nelle materie economico-statistiche).
Un altro momento, non certo fausto, di quel periodo riguarda la persona del presidente Carbone, che aveva sollecitato – come detto – la riforma del 1994 e aveva guidato il passaggio dai vecchi e assorbenti controlli di legittimità ai nuovi controlli sui risultati. Ebbene, la contestazione della riforma giunse al punto che il presidente fu denunciato in sede penale, da forze interne alla stessa Corte, per il reato di “abuso di ufficio” (naturalmente con grande clamore di stampa e grave discredito per l’istituto), avendo egli adottato – nientemeno! – alcune doverose misure organizzative necessarie all’attuazione della legge n. 20/1994 (occorsero, poi, alcuni anni prima che quei procedimenti approdassero al più ovvio nulla di fatto). È anche il caso di ricordare che sulla “difesa” del vecchio ordinamento della Corte e dei suoi controlli preventivi di legittimità fu giocata l’elezione di un giudice costituzionale da parte dei magistrati della Corte dei conti.
II parte – L’impatto delle crisi sulle attività di controllo e il bilanciamento con le esigenze di celerità dell’azione amministrativa
- Durante i periodi di emergenza (ad esempio, pandemia, eventi calamitosi, conflitti internazionali) il ruolo della Corte dei conti è cambiato? In quale modo?
Nei periodi di emergenza e nelle situazioni di crisi, la funzione della Corte dovrebbe essere sempre (ancora più del solito, direi) quella di “accompagnare” il Parlamento nell’assunzione delle scelte più adeguate e coerenti allo scopo di combinare lo “sforzo amministrativo” richiesto da quelle situazioni con le “capacità di resistenza” della finanza pubblica.
Il fatto è che, data l’attuale prevalenza (che è diventata, ormai, una dominanza), nell’attività della Corte, dei controlli di “legalità finanziaria” (cioè di conformità delle gestioni a norme di contabilità e finanza pubblica), la Corte è in grado di fornire al Parlamento e al Governo contributi circoscritti a questo tipo di impegno, piuttosto che dati e informazioni tecnicamente utili all’impostazione delle politiche. Dato, poi, il suo “arroccamento” nei controlli di legalità, la Corte ha sostanzialmente abdicato all’esercizio dei suoi poteri di controllo in alcuni territori dell’ordinamento, sui quali, invece, avrebbe potuto fornire contributi importanti, a garanzia della proficuità nell’uso delle risorse pubbliche e degli interessi finanziari dello Stato (basti ricordare che dei controlli sui contratti pubblici e sulla loro esecuzione si occupa, oggi, pressoché esclusivamente, l’Autorità nazionale anticorruzione-Anac, e, per altro verso, che i controlli sulla congruenza fra i bilanci nazionali e le regole europee sono stati affidati all’Ufficio parlamentare di bilancio-Upb, che opera con una struttura nella quale operano ben selezionati economisti e statistici).
Più in generale, può essere interessante osservare come le fasi di crisi – in senso ampio – siano sempre un’occasione importante di innovazioni nell’assetto dei controlli amministrativi. Oltre alla fase storica più importante, che – nel passaggio dal regime fascista al regime democratico – produsse l’inserimento in Costituzione delle funzioni di controllo (preventivo e successivo) della Corte dei conti, può essere interessante ricordare altri due eventi di rilievo, che aiutano anche a comprendere la vicenda – da sempre accidentata – dei controlli amministrativi.
Il primo è quello dell’introduzione, nel 1923-1924, ad opera di Alberto De’ Stefani, della nuova disciplina in materia di contabilità dello Stato, dopo la frammentazione e il disordine che avevano caratterizzato, nel periodo bellico, le politiche di spesa dei singoli ministeri e avevano favorito, con la sostanziale abolizione dei controlli contabili, ogni sorta di abusi nella gestione delle commesse statali. Finita la guerra, fu istituita un’apposita “Commissione parlamentare sulle spese di guerra”, che rivelò l’intreccio di corruzione e affari illeciti fra politici, amministratori e imprenditori. I risultati del lavoro della Commissione vennero presto obliterati dal nuovo regime (la storia di questo epilogo è stata raccontata da Fabio Ecca, “Piegare un’istituzione. Gli ultimi mesi della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle spese di guerra”, nella rivista di Guido Melis “Le carte e la storia”, 2017), ma fornirono a De’ Stefani il movente per instaurare, fra l’altro, un generalizzato sistema di controlli preventivi (addirittura “doppio”: della Ragioneria generale dello Stato e della Corte dei conti) sulla spesa dei ministeri.
Il secondo riguarda ancora la riforma dei controlli del 1993-1994. Questa ebbe fra i suoi motivi di fondo – oltre gli altri di cui ho detto – la necessità di affrontare una vera emergenza nazionale: quella di contrastare la diffusa corruzione che, attraverso le vicende di “tangentopoli”, aveva portato in primo piano – e, si direbbe, sul banco degli imputati – proprio l’inefficienza dei controlli amministrativi: incentrati, a tutti i livelli di amministrazione (statale, regionale, locale) su verifiche ex ante degli atti amministrativi sotto il profilo – come detto – della mera conformità a norme giuridiche, e del tutto incapaci di cogliere la “qualità” dell’azione amministrativa, sotto il profilo dei risultati conseguiti a carico dei bilanci pubblici, chiamando i governi e le amministrazioni a rispondere, davanti alle assemblee elettive, delle inefficienze, degli sprechi, del disordine organizzativo e di quante altre disfunzioni fossero rilevate nella gestione amministrativa e finanziaria; perciò, ad assumere le decisioni necessarie a ripristinare le regolarità violate.
- Quali strumenti ha utilizzato la Corte dei conti per garantire un controllo tempestivo della spesa pubblica durante le emergenze? Più in generale, come si concilia il ruolo di controllo della Corte dei conti con l’esigenza di velocizzare l’azione amministrativa, soprattutto in contesti emergenziali?
L’esperienza più recente, su questo terreno, è quello dei controlli che la Corte è stata chiamata a svolgere nel periodo della pandemia e in quello del successivo, lento avvio della ripresa economica, caratterizzato dall’approvazione e dalla prima attuazione del Pnrr. Data l’esigenza di rapidità e immediatezza degli interventi richiesti alle amministrazioni, il Parlamento ha approvato norme che, da un lato, hanno esonerato determinati atti dai controlli preventivi di legittimità, dall’altro lato hanno dimezzato i tempi di svolgimento di questi stessi controlli. Quanto ai controlli di tipo successivo sul corretto impiego dei fondi nei tempi previsti e sull’effettiva realizzazione degli obiettivi stabiliti, è stato introdotto dal Parlamento un “controllo concomitante” della Corte sull’attuazione dei programmi e dei progetti, anche con la finalità di colpire i dirigenti per i ritardi, le irregolarità e le inefficienze riconducibili a una loro “grave” responsabilità; il che comportava, però, l’attribuzione alla Corte di una funzione non più di controllo, ma di raccolta degli elementi istruttori in base ai quali decidere se avviare o meno un procedimento sanzionatorio di responsabilità “dirigenziali” o addirittura amministrativo-contabili; quindi, in violazione del principio costituzionale di separazione (o di non commistione) tra funzione di controllo e funzione amministrativa o giurisdizionale.
La vicenda si è conclusa, dopo una lunga contesa fra la Corte e il Governo, sul modello di una vera e propria commedia degli equivoci, nella quale, da una parte, il Governo, ritenutosi leso da critiche rivolte ai suoi dirigenti ma, indirettamente, al Governo stesso, per alcuni interventi non realizzati, ha deciso di cancellare la possibilità della Corte di verificare in itinere l’attuazione dei programmi e progetti inerenti al Pnrr; dall’altra parte, la Corte ha insistito per conservare un potere di controllo che, depurato dalla sua finalità di accertamento sanzionatorio, essa avrebbe potuto continuare ad esercitare secondo le regole dell’ordinario e lineare controllo sulla gestione, di cui le verifiche “in corso di esercizio” costituiscono una naturale modalità. Alla fine, il Governo ha soppresso, con un decreto-legge, la norma che prevedeva il “controllo concomitante” sull’attuazione del Pnrr, ma è rimasta immutata (e non avrebbe potuto essere altrimenti, pena la menomazione di una funzione costituzionale della Corte) la norma generale sul controllo “in corso di esercizio”.
III parte – Riflessioni sulle prospettive future
- In un contesto di crisi globale e rilancio economico, quale sarà il ruolo della Corte dei conti nel garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche?
Il ruolo della Corte dei conti dovrebbe essere ormai proiettato in una dimensione sovranazionale e internazionale. Già oggi, in realtà, vi sono organizzazioni internazionali che si avvalgono della Corte italiana per i loro periodici audit di bilancio. Più in profondità e con maggiore sistematicità dovrebbero svilupparsi i rapporti fra la Corte italiana e la Corte dei conti europea, ma è un processo che risente, naturalmente, dei tempi – non certo esaltanti – con i quali procede l’integrazione delle economie e degli ordinamenti nazionali, così come delle regole di bilancio e delle tecniche di controllo (ad esempio, solo in Italia esiste un così ampio regime di controlli ex ante – i classici controlli preventivi di legittimità – e un così ristretto campo di controlli ex post, molto spesso concentrati su verifiche che sono anch’esse di legalità dell’azione amministrativa).
- Quali rimedi suggerirebbe per migliorare l’efficacia dei controlli sulle risorse pubbliche?
Ne abbiamo, in pratica, già detto: riduzione all’essenziale dei controlli di legittimità su atti amministrativi e massiccio incremento dei controlli di efficienza ed efficacia su andamenti e risultati di gestioni pubbliche; separazione fra attività di controllo e attività giurisdizionale (tanto più importante in quanto la Corte dei conti è intestataria non di uno, ma di due poteri dello Stato: quello di controllo e quello giurisdizionale); arricchimento delle professionalità degli addetti alle funzioni di controllo, con l’apertura della carriera di magistrato a una quota consistente di economisti e statistici (l’esempio maggiore, in proposito, è quello della Corte dei conti tedesca, la cui composizione prevede la presenza di giuristi, di economisti e di tecnici delle diverse discipline tecnico-scientifiche di cui fanno applicazione le amministrazioni nei diversi settori dell’intervento pubblico).
- Infine, cosa consiglierebbe ai giovani che desiderassero intraprendere la carriera di magistrato contabile?
Il concorso per l’accesso a questa carriera non è certamente facile. Le funzioni della Corte – che sono, è bene ripetere, di controllo e di giurisdizione – implicano l’uso di una “cassetta degli attrezzi” piuttosto ampia. Poiché il concorso è limitato, ancora oggi, a giuristi (e ad economisti che siano anche giuristi), occorrerà che questi abbiano una preparazione generale abbastanza solida e aggiornata: nelle materie classiche (costituzionale, amministrativo, civile, commerciale, ecc.) e in quelle specifiche (contabilità e finanza pubblica). Dovrebbe essere essenziale, naturalmente, una preparazione nelle materie economiche, statistiche e aziendali, ma, ad oggi, le prove di concorso non richiedono, per lo più, questo tipo di conoscenze (che è rimesso a ciascuno, col tempo e con lo studio, di acquisire nel corso della carriera).
Il consiglio che è, forse, più nelle mie corde di ex magistrato della Corte dei conti” è quello di non adattarsi all’identificazione fra il lavoro di “magistrato della Corte” e quello di “giudice”. Davanti al compito costituzionale di “ausiliare” i parlamenti e i governi (statali, regionali, locali) nell’assunzione delle decisioni loro spettanti, la Corte è in grado di offrire “prodotti” ulteriori rispetto alle “sentenze” (che pure non mancano, ovviamente nell’esercizio delle sue funzioni giurisdizionali), mediante documenti di analisi e di valutazioni – che non mancano, benché non siano numerosi – sia sugli esiti delle gestioni di bilancio a fronte dei risultati previsti, sia sugli andamenti e sulle prospettive dei più generali equilibri finanziari entro i quali vanno iscritte le decisioni di spesa e di entrata. Sarebbe utile, quindi, “prendere confidenza”, attraverso le riviste e il sito Internet della Corte, non solo con i provvedimenti giudiziari e le decisioni puntuali di controllo, ma soprattutto con le relazioni e i referti che esaminano e ricostruiscono tecnicamente le coordinate, amministrative e finanziarie, nelle quali il Parlamento e il Governo sono chiamati ad operare le loro scelte.
Non si tratta, insomma, di un mestiere facile: non più difficile, ma certo diverso rispetto a quello dei magistrati ordinari e amministrativi.
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Il Comitato di Redazione
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