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I Consigli regionali come avamposti di democrazia nella governance del PNRR

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I Consigli regionali come avamposti di democrazia nella governance del PNRR

Abstract: Il contributo indaga il possibile apporto dei Consigli regionali alla fase attuativa del PNRR, nella prospettiva di un accrescimento del tasso di democraticità e pluralismo dei relativi processi decisionali, con un breve focus sull’introduzione delle Cabine di coordinamento prefettizie, avvenuta nel marzo 2024, e relative prassi interne. 

Ignazio Spadaro

La questione.

Il PNRR rappresenta una preziosa occasione di sviluppo ed ammodernamento per l’intero tessuto sociale, economico e produttivo italiano. Cionondimeno, sia l’elaborazione che il successivo aggiornamento del Piano si sono per lo più esauriti in un confronto tra Governo e UE, mentre la fase attuativa sta seguendo uno schema di tipo top-down che vede in capo ai Ministeri ampi poteri di selezione e controllo (progetti a regia), quando non anche il ruolo di soggetti attuatori (progetti a titolarità), a prescindere dal riparto di competenze ex art. 117 Cost. Ne deriva una torsione in senso centripeto tanto della forma di governo quanto del tipo di Stato, con ricadute negative sul pluralismo e sul tasso di legittimazione democratica dei processi decisionali.

 

Il contesto normativo.

L’art. 17 del regolamento n. 2021/241 consente all’UE di finanziare «piani nazionali per la ripresa e la resilienza», contenenti ciascuno un «pacchetto completo e coerente» di «riforme e investimenti» su sei aree strategiche, elencate nel testo dell’art. 3 (transizione verde, trasformazione digitale, sviluppo sostenibile, coesione sociale e territoriale, politiche giovanili, salute e resilienza socio-economica). Ad esse si affianca il programma REPowerEU, introdotto agli artt. 21 bis ss. dal regolamento n. 2023/435 con lo scopo di rendere più efficiente e sostenibile il sistema di approvvigionamento, trasporto e consumo dell’energia in tutti gli Stati membri. Di recente, quest’ultima categoria di investimenti è stata, peraltro, inquadrata in uno strumento ancora più ampio ed organico, denominato «Strategic Technologies for Europe Platform» (cd. Piattaforma STEP, di cui al regolamento n. 2024/795).

L’art. 20 reg. 2021/241 stabilisce che i finanziamenti, sottoforma di prestiti o contributi, sono concessi con decisione di esecuzione del Consiglio su proposta della Commissione. A norma dell’art. 24, i pagamenti sono scaglionati e la Commissione, cui spetta anche monitorare la fase attuativa (art. 29), può sospenderli qualora ritenga che nel periodo precedente lo Stato non abbia raggiunto i target e le milestones cui si era impegnato.

Nel silenzio tanto della legislazione europea quanto di quella nazionale, la bozza definitiva del PNRR italiano è stata dapprima adottata dal Consiglio dei ministri e, poi, è stata oggetto di risoluzioni favorevoli da entrambe le Camere. Tuttavia, l’imminente scadenza del termine per la trasmissione dell’atto a Bruxelles ha finito per comprimere i tempi del dibattito parlamentare, impedendone l’esame da parte delle Commissioni permanenti, ed anche per tale ragione, le predette risoluzioni sono state approvate con i voti favorevoli dei soli gruppi di maggioranza. Sempre l’Esecutivo ha provveduto, successivamente, a definire i meccanismi di attuazione del Piano, mediante quattro decreti-legge (nn. 77/2021, 36/2022, 13/2023, 16/2024) che ne hanno progressivamente accentrato la governance. Essa è, oggi, affidata ad Uffici posti alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio (Cabina di regia per il PNRR, Struttura di missione PNRR) o del Ministero dell’Economia (Ispettorato generale per il PNRR), nonché allo stesso Consiglio dei ministri, che il d.l. 77/2021 ha investito, a tal fine, di penetranti «poteri sostitutivi» (art. 12) e di «superamento del dissenso» (art. 13), esercitabili anche nei confronti degli Enti territoriali.

In capo a tali Enti, come del resto anche agli eventuali soggetti attuatori privati, residua un certo “spazio di manovra” solo per la gestione dei fondi che siano assegnati loro nell’ambito di progetti cd. a regia. Già nel breve termine, però, anche tale autonomia potrebbe assottigliarsi per effetto dell’istituzione, nel marzo 2024, di «Cabine di coordinamento» per il PNRR presso ciascuna Prefettura (art. 9 d.l. 19/2024).

Invero, allo stato attuale non è possibile escludere che questi nuovi organi svolgano, invece, una funzione di supporto verso Province, Città metropolitane e Comuni; supporto che potrebbe rivelarsi particolarmente utile per tutti quegli enti che, avendo minori dotazioni organiche, strumentali e finanziarie, riscontrano difficoltà sia nella redazione dei progetti che nella relativa attuazione (gestione delle procedure di appalto, risoluzione di eventuali imprevisti tecnici, monitoraggio dei lavori, rispetto delle scadenze prefissate etc.). Probabilmente non è un caso che, stando, almeno, alle note stampa pubblicate nelle rispettive pagine istituzionali, un approccio di questo tipo sia stato già adottato proprio dalle Prefetture di alcune aree economicamente svantaggiate, nelle cui circoscrizioni ricadono molti piccoli comuni (tra le altre, quelle di Napoli, Catania, Potenza, Isernia). Tuttavia, non vi sono garanzie in merito al fatto che tale modello, ispirato al principio di sussidiarietà, si diffonda in modo uniforme e, tanto meno, che si stabilizzi nel tempo, posto che molto dipenderà dal contenuto delle pertinenti linee-guida governative, ancora in fase di elaborazione.

 

Analisi e possibili soluzioni.

Dal quadro normativo appena tratteggiato si ricava l’impressione di una sostanziale marginalizzazione del Parlamento. Essa è, invero, tanto più problematica in quanto, com’è noto, le Camere figurano in Costituzione quale massimi organi di rappresentanza democratica e, inoltre, le misure contenute nel PNRR sono tali e tante da incidere significativamente sulla qualità della vita e sull’effettivo godimento dei diritti fondamentali dei cittadini.

In prospettiva de iure condito, un rimedio potrebbe individuarsi in un più intenso coinvolgimento delle Regioni e, in particolare, dei relativi Consigli.

La partecipazione delle prime (almeno) alla fase attuativa sembra costituzionalmente necessaria per tutte quelle misure che intersecano materie di loro competenza, sia essa concorrente o residuale, come sembra potersi desumere – sul piano delle affermazioni di principio – anche dalle recenti sentenze n. 223/2023, § 5.2.2, e n. 31/2024, §§ 4.2 e 4.4, della Corte costituzionale. E tuttavia, anche allorché si intervenga in materie di competenza statale esclusiva, ex art. 117, co. 2 Cost., non è trascurabile l’apporto che potrebbe venire da quella conoscenza approfondita dei territori e dei relativi bisogni di cui gli organi di governo locali dispongono, di norma, in misura maggiore rispetto a Consiglio dei ministri e Parlamento. Questo dato, che rappresenta una delle principali giustificazioni dello stesso principio autonomista (art. 5 Cost.), sembra trovare puntuale riscontro proprio in ambito PNRR. Infatti, allorché l’art. 33, co. 3 d.l. 152/2021 ha consentito a ciascuna Regione di indicare un progetto di «particolare rilevanza strategica» per lo sviluppo della propria comunità («Progetto bandiera»), regioni geograficamente ed economicamente molto distanti, come la Calabria ed il Piemonte, hanno segnalato priorità altrettanto diverse, inerenti, la prima, ad esigenze primarie (nuovi impianti di approvvigionamento idrico); la seconda, allo sviluppo di tecnologie d’avanguardia (sfruttamento dell’idrogeno come vettore energetico). Ciò potrebbe assumere un’importanza cruciale per il concreto raggiungimento degli obiettivi fissati nel Piano, a fronte di un sistema di finanziamento tipicamente performance based, come quello apprestato dall’UE.

L’argomento appena esposto, che poggia sulla maggior conoscenza delle esigenze locali, se è senz’altro valido con riferimento ai Governi regionali, lo è ancor più per i Consigli, per via della capillarità con cui i vari collegi elettorali “coprono” ciascun territorio.

Ma soprattutto, il coinvolgimento delle Assemblee regionali recherebbe il vantaggio di innalzare il tasso di democraticità dell’odierno sistema di governance. Esse, infatti, al pari delle Camere, sono elette a suffragio universale e diretto, laddove le Giunte lo sono in minima parte (limitatamente, cioè, ai rispettivi Presidenti) ed il Governo nazionale non lo è affatto, godendo, quest’ultimo, di una legittimazione democratica solo indiretta. A ciò si aggiunga l’ordinaria presenza, in seno ai Consigli, di una dialettica tra differenti sensibilità politiche, analoga a quella che è propria delle aule parlamentari e che manca, di norma, in seno agli Esecutivi. In alcuni contesti, tale pluralismo è peraltro rafforzato dalla previsione statutaria di gruppi linguistici, ovvero dalla consolidata presenza di gruppi consiliari facenti capo a movimenti politici a forte radicamento territoriale (si pensi, rispettivamente, all’art. 3 St. Trentino-Alto Adige ed alla composizione del Consiglio valdostano).

Tanto considerato sul piano teorico, su quello pratico può osservarsi che gli strumenti grazie ai quali i Consigli potrebbero intervenire sull’attuazione del PNRR sono molteplici. In primo luogo, com’è noto, essi detengono una funzione di indirizzo e controllo politico, grazie alla quale sono in grado di orientare le scelte dei rispettivi Governi e le interlocuzioni di questi col Governo centrale. In questo senso possono richiamarsi, oltre alle note competenze in tema di bilancio, quelle concernenti l’approvazione di mozioni di sfiducia (art. 126, co. 2 Cost.) e di delibere cd. interlocutorie (mozioni, ordini del giorno, risoluzioni), variamente disciplinate nei rispettivi Regolamenti. All’eventuale approvazione di tali atti può essere funzionalizzato, inoltre, il cd. potere conoscitivo, esercitabile tanto in forma collegiale (audizioni, inchieste) quanto in forma monocratica, ossia da parte di singoli consiglieri (accessi documentali, interrogazioni, interpellanze).

Infine, nella prospettiva di queste considerazioni particolare rilievo è rivestita, ove prevista, dalla partecipazione dei Consigli alle funzioni di alta amministrazione. Si pensi, ad esempio, all’approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale e in materia di servizi pubblici, oppure alla nomina dei vertici di enti e partecipate regionali, sulla quale alle Commissioni consiliari è dato pronunciarsi, di norma, in sede quantomeno consultiva. A ben vedere, attraverso tutti questi canali i Consigli sono già oggi in grado di orientare l’attuazione del PNRR nei rispettivi territori, incidendo p. es. sull’ubicazione delle opere a più alto alto impatto socio-economico, la cui realizzazione sia stata già decisa a livello centrale nell’ambito di progetti a titolarità (si pensi ai rigassificatori), e possono scandire, inoltre, le priorità dei rispettivi apparati burocratici per quanto concerne l’elaborazione dei progetti a regia.

 

Conclusioni.

Alla luce delle considerazioni appena svolte, può concludersi che l’attuale governance del PNRR, seppur complessivamente accentrata, cionondimeno lascia alle Regioni spazi di compartecipazione amministrativa e politica non irrilevanti, i quali ben potrebbero essere “occupati” dai Consigli regionali. Qualora ciò avvenisse, non solo andrebbe a vantaggio del tasso di democraticità e pluralismo dei processi decisionali in esame, come già argomentato, ma – può aggiungersi – sul piano socio-politico potrebbe aprire la strada ad una più generale rivalutazione, “dal basso”, delle Assemblee rappresentative, di contro al predominio di fatto degli Esecutivi cui si assiste, da tempo, anche a livello nazionale e di cui proprio la genesi del PNRR ha costituito ennesima manifestazione.