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I Brevi di Finpa
La sinergia tra pubblico e privato per la tutela del patrimonio culturale: due discipline a confronto
● Sussidiarietà orizzontale,Tutela e valorizzazione dei beni culturali
La sinergia tra pubblico e privato per la tutela del patrimonio culturale: due discipline a confronto
Abstract: L’interesse per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano sta coinvolgendo questioni direttamente connesse alla spesa pubblica ed al suo contenimento. Proprio in quest’ottica si individuano alcune ipotesi di collaborazione tra pubblico e privato quale soluzione virtuosa tra l’interesse pubblico e quello privato. Si tratta di iniziative aventi ad oggetto i beni culturali che consentono, in particolare, di equilibrare la spesa pubblica con l’iniziativa privata. La selezione della parte privata può avvenire secondo due distinte discipline, una contenuta nel codice dei contratti pubblici, secondo le forme del partenariato pubblico privato, e l’altra nel codice del terzo settore, secondo le forme della concessione d’uso, entrambe accomunate dalla medesima procedura. Nonostante si tratti di differenti ma convergenti discipline, queste non risultano del tutto armonizzate tra loro.
Pierluigi Mascaro
La questione ed il contesto normativo di riferimento
Lo scritto propone una disamina di quelle forme speciali di collaborazione tra pubblico e privato volte a favorire la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano. Il quadro normativo di riferimento è contenuto nel Codice dei contratti pubblici ed in quello del terzo settore. Ai sensi dell’art. 134, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023 – c.d. Codice degli appalti –lo Stato e gli enti territoriali possono attivare forme speciali di partenariato con soggetti pubblici e privati volte a “…consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali”, mediante procedure semplificate d’individuazione di questi ultimi. L’art. 71, comma 3, d.lgs. n. 117/2017 – c.d. codice del terzo settore – disciplina invece l’ipotesi in cui i beni immobili di proprietà dello Stato e degli enti territoriali che abbisognino di operazioni di restauro possono essere dati in concessione a enti del terzo settore al fine di realizzare un progetto di gestione espressamente volto ad una corretta conservazione, nonché all’apertura alla pubblica fruizione ed alla migliore valorizzazione dei beni culturali immobili.
L’analisi
L’art. 134, d.lgs. n. 36/2023, coinvolge direttamente i soggetti privati nella tutela e nella valorizzazione dei beni culturali, prevedendo procedure semplificate di individuazione del partner privato. Alla luce dell’espresso richiamo alla previsione di cui all’art. 8, d.lgs. n. 36/2023, tali procedure devono essere interpretate nel senso di potersi ammettere tanto contratti a titolo gratuito quanto gli schemi negoziali più aderenti allo scopo perseguito.
Tali indicazioni normative sono manifesto del favor del Legislatore del 2023 per una “deregolamentazione condivisa” delle procedure di affidamento di quelle attività finalizzate alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali. La locuzione “deregolamentazione condivisa” può essere utilizzata per rappresentare la rimozione di norme legislative e procedure amministrative ritenute tali da ostacolare o disincentivare gli investimenti. In questo contesto, le autorità competenti operano di concerto con i soggetti privati interessati, così da stimolare l’attività economica del Paese, in modo da contrastare anche le lungaggini burocratiche in capo alla PA.
Diversamente, l’art. 71, comma 3, d.lgs. n. 117/2017, prescrive la possibilità, per lo Stato e per gli enti territoriali, di dare in concessione i beni culturali immobili di loro proprietà e che richiedano interventi conservativi. La concessione d’uso può avere quali destinatari unicamente gli enti del terzo settore, previa corresponsione di un canone agevolato, dal quale vengono addirittura detratte le spese sostenute per gli interventi oggetto del progetto di recupero, nel limite del valore economico del canone medesimo. Siffatte concessioni sono temporalmente calibrate sulla buona riuscita dell’iniziativa e non possono comunque eccedere i cinquant’anni.
L’art. 71, comma 3, d.lgs. n. 117/2017, può leggersi in un’ottica di specificazione e complementarità rispetto alla disciplina del d.lgs. n. 36/2023, pur in presenza di possibili frizioni.
Da una parte, infatti, i beni culturali che possono essere dati in concessione a enti del terzo settore devono essere “beni culturali immobili” al fine di essere riqualificati in coerenza con le finalità altruistiche tipiche di queste formazioni sociali. Dall’altra, nel codice dei contratti pubblici tali finalità non vengono in rilievo, in quanto l’unico ambito di interesse dell’articolo 134, d.lgs. n. 36/2023, è quello di “…assicurare la fruizione del patrimonio culturale della nazione e favorire altresì la ricerca scientifica applicata alla sua tutela o alla sua valorizzazione…”.
Diverso è altresì lo strumento adottato, da una parte il partenariato pubblico-privato, dall’altra la concessione d’uso.
A dispetto di tali divergenze di forma e di scopo, le norme sono accomunate dalla medesima procedura, quella prevista dall’art. 134 d.lgs. n. 36/2023. L’articolo 71, d.lgs. n. 117/2017, fa ancora riferimento all’art. 151 d.lgs. n. 50/2016, ormai abrogato. Nonostante tale difetto formale di coordinamento, l’individuazione della parte privata è da considerarsi ai sensi dell’art. 134, d.lgs. n. 36/2023, norma speculare a quella abrogata cui fa riferimento l’articolo 71, d.lgs. n. 117/2017.
Inoltre, ben potrebbe darsi l’ipotesi in cui il medesimo bene culturale immobile possa essere oggetto di interventi ai sensi di entrambe le disposizioni citate e non è chiaro quale delle due disposizioni richiamate debba trovare applicazione in via prioritaria.
Ulteriore profilo di non perfetto coordinamento tra le norme si può osservare nel riferimento espresso alla possibile gratuità del contratto contenuto nel d.lgs. n. 36/2023, laddove il d.lgs. n. 117/2017 fa riferimento al pagamento di un canone agevolato. In un caso il ritorno economico per l’ente è solo eventuale ed indiretto (minori costi di manutenzione e maggiore attrattività del bene culturale), nell’altro è certo e diretto (percezione di un canone agevolato), pur essendo possibile la detrazione delle spese sostenute in misura pari a quanto percepito dall’ente.
Occorre poi notare che, in entrambe le formulazioni di legge, il principio di sussidiarietà verticale di cui all’art. 118, comma 1, Cost. risulta invertito: vengono infatti enumerati gli enti territoriali a partire dallo Stato fino ai medesimi, e non il contrario; ciò potrebbe essere ritenuto frutto della persistente ritrosia del Legislatore a considerare come primari, anche nell’ambito della tutela e valorizzazione dei beni culturali, quegli enti più vicini al cittadino – come del resto prescrive a chiare lettere la citata norma costituzionale. L’auspicio è quello di una futura inversione di rotta, poiché un corretto funzionamento dei meccanismi citati in questo scritto finisce senza ombra di dubbio per favorire in primis le comunità locali del nostro Paese.
Conclusione
Le discipline poste a confronto risultano funzionali al perseguimento di obiettivi tra loro convergenti e complementari: la diminuzione della spesa pubblica e, di pari passo, gli investimenti e la responsabilizzazione dei soggetti privati. Tali discipline esaltano e valorizzano in pieno il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma 4, Cost., ponendo l’accento su come l’apporto del privato – o dell’ente concessionario del terzo settore – possa risultare fondamentale o addirittura dirimente per la tutela e la valorizzazione della cosa pubblica, con la previsione di discipline più snelle e duttili e conseguente sgravio per le casse delle PPAA di volta in volta interessate. Nonostante la meritevolezza degli intenti, la disciplina di riferimento, contenuta in distinti plessi normativi, non pare perfettamente omogenea, come si è cercato di evidenziare nel presente contributo. Proprio per questi motivi il Legislatore potrebbe intervenire sulle due discipline legislative, per meglio coordinarle tra loro, nonché per migliorarle da un punto di vista qualitativo tanto rispetto ai profili della gratuità (cui fa riferimento solamente la norma del codice dei contratti pubblici) e della prelazione per gli enti del terzo settore (unici soggetti nei cui confronti opera l’art. 71 d.lgs. n. 117/2017), quanto rispetto alla fallita attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà verticale in entrambe le discipline. Si tratta di accorgimenti che sarebbero sicuramente di grande ausilio per la riuscita di operazioni economiche tanto fondamentali, quanto di delicata attuazione.