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Dietro le quinte
Intervista a GUIDO MELIS per Dietro le Quinte n. 2/2024
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Intervista a GUIDO MELIS per Dietro le Quinte n. 2/2024
Il rapporto fra finanza e pubblica amministrazione dal punto di vista di uno storico delle istituzioni
GUIDO MELIS
Professore emerito di Storia dell’amministrazione pubblica presso l’Università di Roma “La Sapienza”
- Cosa l’ha portata a diventare un appassionato studioso della storia dell’amministrazione pubblica, se ce lo vuole raccontare?
Dovrei dirvi che è stato quasi casuale. Io ero un fresco laureato in Giurisprudenza nell’Università di Sassari, relatore della tesi e mio “maestro” (come si diceva un tempo) era Luigi Berlinguer. Luigi aveva allora circa 40 anni. Era in quel periodo ordinario a Sassari e fu l’autore di una sorta di rivoluzione culturale che sconvolse i ritmi sereni della vetusta facoltà di diritto sassarese (la chiamavano “la Serenissima” per la presenza di qualche vecchio professore incline al 30 quasi obbligato sul libretto degli studenti): avendo ottenuto dal Ministero e dal CUN di fondarvi un corso di laurea in Scienze politiche, Luigi aveva fatto venire a insegnarvi alcuni dei giovani studiosi più promettenti dell’università italiana di quel momento. Una vera e propria campagna acquisti. Pensate che ebbero a Sassari il loro primo incarico Bassanini, Onida, Zagrebelsky, Treves, poi De Siervo, Orsi Battaglini, Sorace, Guastini, De Masi. Una specie di pépinière di futuri talenti, insomma. Tra gli altri fu “chiamato” anche Roberto Ruffilli, anche lui molto giovane (era nato nel 1937, venne a Sassari mi pare nel 1970). Roberto divenne mio tutor, cioè, andato a Siena Berlinguer, io divenni il suo “contrattista” (una figura poi scomparsa: non si diventava più assistenti ma contrattisti). La materia di Ruffilli era la storia dell’amministrazione, una sorta di figlia minore della storia delle istituzioni politiche. Quando Roberto se ne andò anche lui a Bologna, sua sede di destinazione (era nato a Forlì), mi insignì letteralmente dell’incarico che lasciava, sia pure trasformato da “retribuito” in “gratuito”. Io protestai che non ne ero degno, avendo scritto sì qualcosa, ma in realtà un saggio sul Pci delle origini in Sardegna (come era nata l’organizzazione) e un libro (che per la verità fu molto fortunato ed ebbe anche un premio) su Gramsci e la questione sarda. Ma lui mi disse, troncando la mia resistenza: “la storia dell’amministrazione sei tu”. Un po’ di ragione l’aveva, perché gli studi in quel campo erano allora ancora agli inizi, a parte l’Isap cui lui stesso apparteneva e a parte i bei libri di Caracciolo e di Pavone. Comunque io da allora in poi ne feci un punto d’onore: mi gettai a capofitto nello studio della storia dell’amministrazione. Volli dimostrare di essere degno della scelta di Roberto. Se ci sono riuscito non spetta a me dirlo. Mi aiutò molto però un altro incontro fortunato, propiziato anche questo da Ruffilli che mi presentò a questo secondo (o terzo, se contiamo Berlinguer) maestro: nel 1977 conobbi a Roma nel suo studio Sabino Cassese. Che da allora è stato il mio punto di riferimento costante. Una specie di bussola.
- Qual è il materiale storico (documento, volume, testimonianza, o anche un luogo) di maggior pregio, almeno dal suo punto di vista, che ha avuto modo di scoprire e studiare in rapporto alla storia della pubblica amministrazione?
Difficile rispondere: uno storico deve leggere molto, forse più che non in altre discipline. Io poi dovevo diventare uno storico delle istituzioni, quindi mi interessava la storia politica, quella sociale, quella propriamente delle istituzioni, la politologia, la sociologia, la storia della cultura. Aggiungo che ero e sono un lettore assiduo e curioso. Il che mi portava a quelle che ho chiamato in un librino di qualche anno fa (La storia delle istituzioni. Una chiave di lettura, Carocci, 2020) le mie “gite fuori porta”. Non solo letteratura italiana, ma anche di altri Paesi (specialmente la Francia, dove nel 1988 ho fatto un mese di lavoro propriamente bibliografico sulle burocrazie). Il professor Cassese poi mi incalzava con continue sollecitazioni. E ogni volta che lui mi parlava di un libro io lo compravo e lo leggevo. Sotto la sua guida è stato appassionante approfondire temi che mi erano allora estranei, e impadronirmene. Naturalmente in questi processi di formazione che si fanno da giovani contano molto gli incontri che si fanno: vinta la cattedra molto presto (sono stato fortunato) e fatta la mia gavetta di ordinario nella facoltà dove ero nato, ho deciso di trasferirmi a Siena, a Economia e banca. E qui ho incontrato un mondo diverso da quello dei giuristi, imparando molto dagli economisti. Poi da lì ho chiesto di andare a insegnare alla Scuola superiore della pubblica amministrazione a Roma, e ho avuto la fortuna di farlo proprio quando iniziavano i primi corsi-concorso per la dirigenza. Poi mi hanno chiamato a Roma, ma non a giurisprudenza, bensì a Lettere, nella scuola speciale per archivisti: ed è stata per me una grande occasione giacché sin da ragazzo avevo frequentato gli archivi e mi ero appassionato alla ricerca condotta prevalentemente sui documenti. Intanto facevo amicizie romane nuove: professori ma anche dirigenti amministrativi, esperti di amministrazione. Poi conobbi i prefetti, insegnando nella loro Scuola. Poi promossi una serie di seminari invitando funzionari ed esperti di amministrazione. Insomma, cominciai a conoscere “da dentro” il mondo che sino ad allora avevo studiato solo “da fuori”.
- Venendo al rapporto finanza-pubblica amministrazione, quando, secondo lei, la finanza pubblica ha svolto un ruolo determinante nella storia dell’amministrazione italiana?
Secondo me questo ruolo è stato molto precoce. Lo Stato nasce nel 1861 con sulle spalle un ingente debito, quello delle guerre risorgimentali. Tutto il periodo della Destra storica (1861-1876) è dominato dalla necessità impellente di frenare la spesa pubblica. La politica della lésina, come si chiamava quella praticata da Quintino Sella, diede una impronta molto forte al primo apparato amministrativo. Nel 1869 nacque la Ragioneria (prima esistevano dei poco organizzati Uffici di contabilità) e con essa un sistema di uffici presenti come fossero fortilizi in ogni amministrazione. Nel 1923 questo apparato fu rafforzato e perfezionato dalla riforma del Ministro fascista De Stefani. C’è un simbolo di questa ferrea morsa della amministrazione finanziaria ed è quel “bollino” (la “bollinatura” dei provvedimenti implicanti spesa) che la Professoressa D’Alterio ha studiato e fatto oggetto di un piccolo, prezioso libretto. Se leggete i miei libri troverete la traccia di questo dominio dei ragionieri (e anche le resistenze che suscitò sin da subito). Indubbiamente vi furono in origine buone ragioni a favore; ma poi degenerarono spesso in una burocratica e assillante serie di controlli preventivi che andarono a doppiare quelli che allora esercitava la Corte dei conti. Un grande uomo di amministrazione che visse tra età liberale, fascismo e primi anni della democrazia, Carlo Petrocchi, lo bollava come “duplici e triplici controlli”. Nel secondo dopoguerra la Ragioneria ha mantenuto il suo predominio. Lo ha esercitato molto fermamente (direi duramente) negli anni Sessanta, quando si è scontrata con il governo di centro-sinistra o, meglio, con Antonio Giolitti e i suoi collaboratori che stavano dirimpetto al Tesoro nel Ministero del bilancio. Manin Carabba ha raccontato più di una volta quello scontro. La Ragioneria ebbe per alleata la Banca d’Italia guidata da Guido Carli e l’intero Tesoro, sotto il Ministro Emilio Colombo. I riformatori, se così li vogliamo chiamare, persero la battaglia. La creazione dell’ISPES, dove furono confinati (Carabba per primo) e la dispersione del gruppo giolittiano ne furono la conseguenza. Giolitti stesso (anche su richiesta del presidente Segni) fu allontanato dal Governo e vi tornò solo successivamente. Sulla Ragioneria però vorrei segnalarvi queste due interviste, che vi possono essere utili. Una al Ragioniere generale Andrea Monorchio[1] e l’altra al Ragioniere generale Biagio Mazzotta[2]. Se avrete la pazienza di vederle entrambe noterete anche la differenza nella interpretazione delle funzioni. Ma non voglio sfuggire alla domanda: sì, la finanza è stata il cuore del sistema amministrativo; e le funzioni del controllo il cuore di questo cuore. Tuttavia, i fortilizi della Ragioneria, corpo intendiamoci ammirevole per la sua competenza tecnica e la sua eccellenza di capacità applicate ai conti, ha esondato spesso dai suoi compiti istituzionali (spesso anche perché la direzione politica è stata debole e si è appoggiata alla Ragioneria, chiedendone in vario modo la supplenza). L’assetto invalso sin dal 1869 inoltre ha condizionato tutto l’apparato amministrativo, traducendosi in una serie di vincoli alla scioltezza amministrativa che ha concorso a rafforzare il vizio burocratico insito nel modello per ministeri.
- Quali sono state le cause, a suo giudizio, dell’incidenza della finanza pubblica sull’organizzazione burocratica?
La debolezza delle altre componenti del sistema amministrativo, la vetustà dei modelli organizzativi cavouriani e la diffidenza della burocrazia ministeriale (poi contagiata anche alle burocrazie regionali) di fronte a qualunque innovazione organizzativa e funzionale. La Ragioneria imprime un ritmo lento e compassato a tutta l’attività amministrativa, perché postula che non c’è spesa, neanche minima, senza controllo preventivo. E questo alla burocrazia ministeriale fa comodo. Così come fa comodo scaricare sulla Ragioneria le responsabilità della gestione.
- Quali sono, sempre a suo giudizio, le prospettive future del sistema di finanza pubblica, anche alla luce delle influenze esercitate da Piani come Next Generation EU?
Ho molto sperato che l’Europa ci imponesse di riformare radicalmente il nostro sistema amministrativo. In fondo Ciampi, quando fu adottato l’euro, ebbe una battuta felice. Ricordate? Disse: «L’Europa ci obbliga ad essere virtuosi». Ciò che forse almeno in parte è successo e sta succedendo, anche se ovviamente implica una perdita di sovranità verso l’alto. Per l’amministrazione, pure citata nel PNRR, non è accaduto. E infatti noi abbiamo oggi un deficit proprio nel settore della capacità di spesa: siamo in ritardo, come sapete, e lo siamo anche per la presenza di una amministrazione del controllo troppo invasiva e pervasiva. Bisogna abbattere questo deficit e per farlo bisogna adeguare la nostra organizzazione amministrativa al ritmo europeo (direi al ritmo del tempo che viviamo: se vogliamo adottare l’intelligenza artificiale, e non potremo non farlo, tutta una serie di comportamenti in contrasto andranno spero rivisti). Non faccio previsioni: ma non sono neanche “apocalittico” (la citazione è da un famoso libro di Umberto Eco giovane, Apocalittici e integrati, che metteva alla berlina il rifiuto della televisione). Certo più che leggi ci vorranno trasformazioni della cultura dell’amministrazione e perciò bisogna sperare nel suo radicale ringiovanimento.
I Referenti di “Dietro le Quinte”
[1] Intervista al Ragioniere generale Andrea Monorchio del 27 ottobre 2017 – Istituto Centrale Archivi del Ministero della Cultura: https://tiraccontolastoria.cultura.gov.it/index.php?page=View.ObjectMetaData&id=gabinettisti%3Amonorchio
[2] Intervista al Ragioniere generale Biagio Mazzotta – Archivio centrale dello Stato: https://www.youtube.com/watch?v=zFBy4TObx5g
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