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Dietro le quinte
Intervista alla prof.ssa Rita Perez per Dietro le Quinte n. 2/2025
● Bilancio,debito pubblico,Ragioneria Generale dello Stato
Intervista alla prof.ssa Rita Perez per Dietro le Quinte n. 2/2025
Intervista a
RITA PEREZ
Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Roma “La Sapienza”
1. Quali sono le principali ragioni che l’hanno avvicinata, nel tempo, allo studio del diritto della finanza pubblica (*) e l’hanno portata a scrivere numerosi contributi in questo ambito scientifico?
Lo studio del Diritto della finanza pubblica non fu una mia prima scelta e neppure una seconda. Mi ero laureata discutendo una tesi, che poi fu pubblicata sulla rivista “Vita dei comuni”, sulla “Delega delle funzioni amministrative alle regioni”. Successivamente, avevo scritto un libro per la Svimez sugli “Aspetti giuridici della pianificazione in agricoltura”.
Dopo queste due esperienze di studio proposi a Massimo Severo Giannini, il mio maestro, di scrivere su altri temi di ricerca. Ma i temi che gli proponevo non lo convincevano. O mancavano gli atti di attuazione per svolgere la ricerca, o c’era un altro studioso impegnato in quel tema o tema affine, oppure dal tema che gli proponevo non avrei ricavato nulla. Si giunse così all’ultimo degli argomenti che avevo indicato e lo avevo indicato solo perché Massimo Severo Giannini in quei mesi, in televisione o nei convegni, faceva riferimento alla “stupida legge di contabilità che ci governa”. Confesso di aver inserito l’argomento nella mia lista, solo perché Giannini ne parlava spesso e lo riteneva importante. Per di più erano stati pubblicati qualche anno prima gli atti di un Convegno sullo “Sperpero del pubblico denaro” cui avevano partecipato, Jemolo, Piccardi, Buscema e lo stesso Giannini. Così, pensando di far numero, avevo aggiunto al mio elenco quest’ultimo tema, mai pensando di studiare una materia che non mi sembrava molto in linea con i miei interessi.
Invece accadde che, tra tutti gli argomenti indicati, Giannini, scartando gli altri, si soffermasse proprio su quest’ultimo dicendomi che era molto interessante da studiare, ma altrettanto difficile. Naturalmente, non ero molto soddisfatta della conclusione dell’incontro. Pensavo, comunque, che essendo un tema “difficile” avrei dovuto studiarlo solo più a lungo di un altro tema, prima di vederne i risultati. Invece, non fu così.
Il tema non era difficile: era incomprensibile. La disciplina essenziale ruotava intorno a circa mille articoli tra decreto e regolamento (1923/24). Mancava, inoltre, una letteratura di base sul tema. Non esisteva un testo leggibile che spiegasse la materia, almeno per sommi capi. Le opere scritte dagli addetti ai lavori erano mere parafrasi della normativa esistente, quindi inutilizzabili. Dopo un anno di studio a vuoto, stavo per tornare da Giannini per confessargli che rinunciavo al tema quando, non so come, in quella matassa ingarbugliata di norme trovai un piccolo filo e in questo mi aiutò un lucidissimo articolo scritto da Federico Caffè sulla “Vischiosità delle procedure di spesa pubblica”. Attraverso quell’esile filo entrai nell’argomento che poi mi piacque. Studiai l’attività di spesa dello Stato e le ragioni della sua lentezza. Scrissi un libro sulle Procedure finanziarie dello Stato che, poi, fu adottato, come libro di testo per gli studenti della Facoltà di Economia. Una soddisfazione non piccola per una assistente che mi ripagava, almeno in parte, della fatica e del tempo dedicato all’argomento.
Il lavoro fu indubbiamente molto faticoso. E questa fatica è il motivo che poi mi ha spinto a continuare a interessarmi della materia studiandone l’organizzazione, la disciplina costituzionale, i controlli, i rapporti stato enti locali, le procedure di bilancio. Non era un tema che potevo accantonare. Era stato troppo faticoso entrarci dentro e per questo decisi di non uscirne. Studiai anche altri argomenti, ma non trascurai la finanza che ebbe poi un exploit con l’Unione europea.
2. Nel corso della sua carriera accademica, lei ha frequentato come visiting scholar università conosciute in tutto il mondo, come, per citarne soltanto alcune, Berkeley, Stanford e la London School of Economics. In che modo queste esperienze all’estero hanno influenzato la sua visione del diritto pubblico e, specialmente, della finanza pubblica?
Gli studi all’estero, in area anglosassone sono stati molto formativi. Gli studiosi anglosassoni avevano una chiara visione del ruolo del Tesoro e della finanza in genere. Oggetto delle loro ricerche erano, negli anni in cui soggiornai nell’area anglosassone, i problemi politici ed economici che discendevano dall’attività finanziaria, i temi dell’efficienza della spesa, che ridondava in efficienza dell’amministrazione, e il tema del controllo sulle entrate e sulle spese (per il quale furono introdotti i cash limits). Di notevole interesse anche il modo in cui l’indirizzo politico-finanziario si ripartiva tra il Cancelliere dello scacchiere e il Primo ministro e la maniera in cui si componevano eventuali contrasti. Notevole, sotto questo profilo, la separazione tra policy e management.
Attraverso questi studi, ho potuto guardare con occhio critico alla realtà nazionale, nella quale non solo erano carenti le disposizioni normative ma, soprattutto, era trascurata la loro attuazione ed erano trascurate le relazioni tra controllo e gestione della spesa.
Senza contare il freno derivante dalla burocratizzazione dell’attività e una patologica lentezza che affliggeva (e affligge) l’azione amministrativa nel settore della finanza. Lentezza che si nota anche considerando il potere politico e i tempi necessari a colmare i vuoti normativi che erano certamente vuoti politici, ma anche vuoti amministrativi e vuoti costituzionali.
Si aggiunga a questa situazione l’incapacità dell’ordinamento di svolgere i controlli sul raggiungimento degli obiettivi indicati nelle leggi. I controlli predisposti erano formali, limitati ad accertare il rispetto delle leggi, non mirati a verificare il raggiungimento dei risultati.
Da notare, infatti, che le prime leggi volte all’accertamento dei risultati (cioè dei fini stabiliti dalle norme) sono state emanate solo tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo secolo.
3. Nel suo volume “Il controllo dei conti pubblici. Storia della Ragioneria generale dello Stato”, lei approfondisce il ruolo di questa istituzione, definendola come una guida dell’azione dell’amministrazione pubblica. Quali sono, a suo avviso, le lezioni più importanti che si possono trarre dalla storia della Ragioneria Generale dello Stato in rapporto all’evoluzione del sistema di finanza pubblica italiano?
La Ragioneria generale dello Stato, dal 1999 Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, ha avuto, in passato, una posizione di primazia nell’ordinamento. In primo luogo, doveva autorizzare tutte le decisioni da cui derivassero spese. In secondo luogo, per quasi tutto il secolo scorso, la Ragioneria ha esercitato, attraverso l’attività di controllo, un potere selettivo della spesa non previsto dalle norme, senza alterare la normativa esistente, sovrapponendo le proprie scelte a quelle delle amministrazioni. In questo senso, una precisa responsabilità era attribuibile anche al bilancio dello Stato, articolato in oltre 6.000 capitoli di spesa che prevedevano erogazioni per valori minimi e per decine o centinaia di milioni di lire, difficilmente comprensibili.
Quanto al suo funzionamento, la storia ha mostrato che chi guida la Ragioneria deve essere capace di dire no al potere politico. Basti pensare, per il passato, ai rapporti di Mussolini con il Ragioniere generale dello Stato (De Bellis), che, secondo il Ministro De Stefani, possedeva “l’intransigenza di un domenicano”. Per il presente, costituiscono una conferma le recenti vicende relative al mancato freno della Ragioneria generale dello Stato sul cosiddetto Superbonus che ha previsto rimborsi al 110 per cento della spesa e provocato un notevole buco di bilancio. Peraltro, in contrasto con quanto sopra, ho letto di Ragionieri fieri di un rapporto stretto con il governo. Rapporto che certamente è auspicabile se si tratta di guidare il governo evitandogli errori nella selezione delle attività da finanziare. Non oltre. [Dell’evoluzione della RgS e dell’evoluzione della finanza, parlo rispondendo al quesito n. 4.]
4. Fin dall’istituzione della Corte dei conti del Regno d’Italia, prima, e della Ragioneria Generale, poco dopo, si è sviluppata una specie di “antagonismo” tra queste due istituzioni, che a volte ha assunto le forme di un contrasto, altre volte di una sana rivalità, altre volte ancora di una (inefficiente) sovrapposizione, soprattutto in merito alla funzione di controllo. Come valuta lei l’evoluzione di questo rapporto nel tempo? E come definirebbe, invece, oggi tale relazione, alla luce dell’ordinamento vigente?
In passato, non è mai stato chiaro dove si arrestava il controllo della Corte dei conti e dove iniziava quello della Ragioneria generale dello Stato. Entrambe le istituzioni esercitavano un controllo preventivo di legittimità. Non mancarono, in passato, tentativi per differenziare le due forme di controllo: ad esempio, attribuendo, nel 1924, alla Ragioneria, l’esercizio di un controllo di proficuità che, però, non venne mai svolto. Si può osservare che oggetto del controllo delle due istituzioni era costituito dall’irregolarità dell’atto. Irregolarità che per la Ragioneria significava non conformità di un atto alla norma, mentre per la Corte dei conti l’irregolarità aveva a oggetto un atto viziato sotto il profilo amministrativo e comportava un’attività maggiormente procedimentalizzata. Questo doppio controllo non sempre ha funzionato correttamente. Inoltre, in passato, sono emersi casi di abusi delle amministrazioni non messi in luce nel corso dei controlli estremamente analitici di Ragioneria e Corte, dai quali poteva apparire un perfetto rispetto della legge senza che si potesse notare la corruzione sottostante.
Nel corso del Novecento, mentre il controllo svolto dalla Ragioneria ha continuato a essere configurato come un controllo preventivo di legittimità su singoli atti, quello della Corte dei conti, almeno a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, è stato modificato (l. n. 94/1990) e sostituito da un controllo da esercitare successivamente allo svolgimento dell’attività amministrativa. Da un lato, però, la Corte dei conti ha cercato di reintrodurre, negli anni, porzioni di controllo preventivo. Dall’altra parte, le stesse amministrazioni si sono sempre sentite più “protette” da un controllo preventivo.
Con riferimento alla Ragioneria, la dilatazione delle funzioni amministrative che si andava evidenziando, soprattutto con riferimento alle funzioni sociali e la complessità del fenomeno finanziario hanno comportato l’acquisizione di nuove funzioni che si aggiungevano a quelle di controllo. Così si è attribuito alla Ragioneria il potere di prelevare risorse dal fondo di riserva per le spese impreviste o per spese obbligatorie. Questa facoltà doveva essere preceduta dall’approvazione dei relativi disegni di legge. Inoltre, alla Ragioneria era attribuita anche la nomina dei revisori dei conti negli enti e società a partecipazione pubblica e il controllo delle gestioni contabili di tutte le amministrazioni statali. Infine, venivano ampliate le sue funzioni conoscitive, necessarie per la redazione del rapporto sulle tendenze di medio e lungo periodo del sistema pensionistico, di quello sociosanitario e attribuita la redazione del conto annuale delle pubbliche amministrazioni. Queste attività sono state svolte utilizzando personale tecnico, selezionato negli anni per il necessario svolgimento di attività tecnico/scientifiche, ad esempio per analizzare il costo necessario alla copertura delle spese. Infatti, dotata di personale tecnico e per di più con uffici incardinati nelle singole amministrazioni, la Ragioneria si presentava con una attrezzatura organizzativa e conoscitiva non comune nell’amministrazione italiana.
Oggi, le funzioni di Corte dei conti e Ragioneria sono molto differenziate. Con la nuova articolazione del bilancio in missioni, programmi e azioni i controlli della Ragioneria sono meglio articolati. In particolare, la Ragioneria, accanto a un controllo prevenivo di legittimità che accerta la regolarità dell’atto ed oltre alla redazione del bilancio, è titolare di diverse altre funzioni. In particolare, interviene nella redazione delle Relazioni tecniche richieste dall’Unione europea (l. n. 362/1988). Redige il Documento di economia e finanza – Def, divenendo parte fondamentale del processo legislativo di bilancio. Quanto alle azioni da svolgere nell’Unione europea, la Ragioneria partecipa al processo di formazione, esecuzione e di certificazione del bilancio dell’Unione. Partecipa alle riunioni dell’Ecofin e, svolgendo questa funzione, è in grado di influire sulla determinazione dell’indirizzo politico/finanziario del governo.
Quello che ancora manca, nel concreto esercizio delle funzioni di controllo sia della Ragioneria che della Corte dei conti, è la verifica dei risultati (in termini di efficienza ed efficacia) conseguiti dalle amministrazioni con le risorse dei loro bilanci, mentre non mancano – e sono, anzi, numerose, anche per soddisfare obblighi europei – le verifiche di carattere finanziario. Ma la situazione dovrebbe migliorare quando occorrerà dar conto all’Unione del raggiungimento degli obbiettivi “fisici” previsti dalle missioni e dai programmi del PNRR.
5. Tornando alla Ragioneria Generale dello Stato: questa istituzione è comunemente percepita come un’istituzione tecnica e lontana dai cittadini. Quanto è importante, secondo lei, aumentare la trasparenza delle sue attività e la conoscenza del suo ruolo? Come si potrebbe, eventualmente, raggiungere questo obiettivo?
La Ragioneria generale si è sempre percepita ed è stata sempre percepita come un corpo lontano dai cittadini. Personalmente, ho avuto numerosi incontri con personale della Ragioneria appartenente all’area economica, molto interessato a capire come la Ragioneria fosse percepita all’esterno. Non ho mai riscontrato analogo interesse nel personale dell’area giuridica. Lo storico dell’amministrazione Guido Melis ricorda le parole con le quali un Ragioniere generale dello Stato metteva in evidenza come nella Ragioneria esistesse un forte senso di appartenenza all’istituzione per cui non si accoglievano persone suggerite dall’esterno.
Il problema della trasparenza oggi, con l’attribuzione di rilevanti funzioni alla Ragioneria, dovrebbe considerarsi superato. In particolare, le riforme introdotte alla fine del secolo scorso comportano necessariamente un dialogo della Ragioneria con altre istituzioni, quindi, un’apertura. Una maggiore trasparenza della Ragioneria si dovrebbe ottenere introducendo funzionari educati al dialogo con le istituzioni. Non è più il tempo di funzionari tenuti alla massima riservatezza.
6. Come è noto, nell’ambito del PNRR, l’Italia ha fatto la scelta di ricevere – e sta ricevendo – vari finanziamenti anche sottoforma di prestiti (con tassi agevolati), che pesano e peseranno, in quanto tali, sull’entità del debito pubblico nazionale. Come valuta l’esperienza del PNRR in rapporto alla tenuta del sistema italiano di finanza pubblica? Quale evoluzione le viene, più in generale, da immaginare in futuro (sul piano degli andamenti del debito pubblico), anche alla luce delle nuove regole del Patto di Stabilità e Crescita, adottate nel 2024?
Rispondere a questo interrogativo non è semplice. Come è noto, il Pnrr ha richiesto il raggiungimento di una significativa coesione economica e di una particolare efficienza in sei settori chiave nei quali concentrare una particolare azione. Tra questi: transizione verde, trasformazione digitale, crescita sostenibile e inclusiva, coesione sociale, salute. Inoltre, l’introduzione delle nuove regole ha modificato l’organizzazione di diverse istituzioni cui è stata affidata la funzione di controllo da esercitare nel corso dello svolgimento dell’attività finanziata con i fondi europei. Peraltro, si dubita che tutti gli obiettivi saranno realizzati e, in data odierna, si valuta che, fino a oggi, meno del 50 per cento dei fondi sia stato effettivamente erogato.
A conclusione degli interventi del Pnrr, la giustizia ordinaria dovrebbe essere più veloce, l’amministrazione più efficiente, le procedure amministrative più snelle, l’organizzazione amministrativa con minori vincoli burocratici e, soprattutto, dovrebbe essere ridotta la dipendenza energetica e diminuiti gli elevati costi di quest’ultima. Sembra, tuttavia, difficile fare pronostici sulla riuscita degli interventi.
Numerose scelte operative da effettuare nell’ambito del Pnrr devono essere accompagnate da scelte politiche (ad esempio, il nucleare pulito nel settore dell’energia). E, ovviamente, una corretta attuazione del Pnrr influirà positivamente sulla riduzione del debito.
Per quanto riguarda i rapporti tra Psc e riduzione del debito, la relazione è più diretta. Innanzitutto, va ricordato che la materia finanziaria è da tempo materia europea. Ma, oggi, a seguito della nuova disciplina del Psc, anche la politica fiscale è di competenza non più degli Stati, ma dell’Unione. Questa è tenuta a controllare il rispetto della propria normativa da parte dei singoli Stati. Si è così introdotto un nuovo metodo di governo finanziario in base al quale lo Stato, nel corso di quattro anni (se il rapporto debito/pil supera il 90 per cento), deve assicurare una diminuzione del debito pari a 1 punto percentuale per anno.
Come si vede un percorso più realistico di quello disegnato nel 1992 e perseguito nei decenni successivi con i primi Patti per la stabilità e la crescita.
7. Quali profili, nello studio del diritto della finanza pubblica, oggi meriterebbero particolare attenzione? Quali argomenti, in questo ambito, ritiene ancora poco o non sufficientemente indagati?
Ovviamente, l’argomento che desta più preoccupazione è quello che riguarda l’entità del nostro debito. Studi volti alla sua riduzione meriterebbero, oggi, una particolare attenzione. Attualmente, la riduzione del debito è certamente legata all’efficienza dell’amministrazione, alla diminuzione dell’entità del personale nelle diverse amministrazioni, alla riduzione di obblighi burocratici. Sotto quest’ultimo profilo, si afferma che in Italia il problema, prima ancora delle risorse finanziarie, è costituito dalla burocrazia.
Sotto il profilo più strettamente finanziario, la crescita della produttività amministrativa e, conseguentemente del Pil, sono vicende che influiscono sul debito. Sotto il profilo della produttività, un’azione volta alla riduzione dei tempi della giustizia consentirebbe certamente una maggiore presenza di capitale straniero e una conseguente crescita del Pil.
Modifiche come quelle ora indicate sono, a mio parere, in grado di influire con particolare efficacia sulla diminuzione del debito e, quindi, meriterebbero una maggiore attenzione da parte degli studiosi. I tempi lunghi delle procedure, la pesantezza di regole burocratiche e la scarsa efficienza dell’attività amministrativa nel suo complesso, sono temi sui quali concentrare gli sforzi, tenendo conto che sono argomenti di cui si discute da diversi anni (si vedano gli studi di Antonio Pedone sulla formazione del debito), ma che non sono stati sufficientemente approfonditi.
8. Infine, quali sono, a suo giudizio, le due-tre letture “imprescindibili” che uno studioso di diritto della finanza pubblica dovrebbe avere fatto, come base dei propri studi in questo ambito scientifico? E da quali temi e problemi consiglierebbe di partire nel caso di uno studioso che intendesse indagare la materia per la prima volta?
Per iniziare uno studio in materia di finanza, suggerirei testi brevi e chiari.
AA.VV. Lo sperpero del pubblico denaro, Milano, Giuffrè, 1965.
S. Cassese, Controllo della spesa pubblica e direzione dell’amministrazione, in La formazione dello Stato amministrativo, Milano, Giuffrè, 1974, 235-276.
F. Caffè, La “vischiosità delle procedure” nella spesa pubblica e le esigenze attuali della politica economica, in Ministero del tesoro-Ragioneria generale dello Stato, Saggi in onore del centenario della Ragioneria generale dello Stato, 1869-1969, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1969, 129 ss.
Per uno studioso che voglia inquadrare il tema finanziario in un ambito più ampio, quello del funzionamento dello Stato, letture da consigliare sono:
R. Faucci, Finanza, amministrazione e pensiero economico. Il caso della contabilità di Stato da Cavour al Fascismo, Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1975.
G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana, Bologna, Il Mulino, 1996, nuova ed., 2020.
A.C. Jemolo, La crisi dello Stato moderno, Bari, Laterza, 1954.
G. Melis, Due modelli di amministrazione tra liberalismo e fascismo, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1988.
Per quanto riguarda un tema da cui iniziare, mi sembra che una seria riforma dell’amministrazione, nel senso già indicato, possa essere un punto di partenza, anche se non il solo.
(*) l’espressione “finanza pubblica” viene in questa intervista utilizzata, per comodità espositiva, in termini estensivi, in modo da includere la contabilità pubblica ai vari livelli di governo, l’amministrazione finanziaria, la disciplina dell’UE, ecc.
Il Comitato di Redazione
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