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Dietro le quinte

Le misure di condizionalità finanziaria a protezione dello Stato di diritto

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Le misure di condizionalità finanziaria a protezione dello Stato di diritto

Dietro le quinte, n. 3/2024

Un vaglio delle principali lacune nella legislazione finanziaria e contabile dell’UE[1]

Sommario: 1. Rilievi preliminari e contesto storico. – 2. La questione. – 3. Le lacune. Possibili linee di intervento.

 

  1. Rilievi preliminari e contesto storico

Com’è noto, il regolamento (UE, Euratom) 2020/2092, nel tentativo di arginare i fenomeni di rule of law backsliding[2], introduce un regime di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione.

Tale corpus normativo recepisce sostanzialmente le conclusioni del Consiglio europeo del 21 luglio 2020, che non si limita a ribadire il costante leit motiv dell’indefettibile conformità degli interessi finanziari dell’UE ai valori fondanti ex art. 2 del TUE. Aggiunge altresì un tassello nuovo: cristallizza la preminenza di questi valori irrinunciabili, «comuni agli Stati membri», nella declinazione normativa della condizionalità.

Logico corollario è che la Commissione, ogniqualvolta riscontri violazioni dei principi dello Stato di diritto ad opera dei Paesi membri, viene d’ora in avanti investita del potere di proporre al Consiglio (chiamato a pronunciarsi a maggioranza qualificata) l’implementazione di una serie di “misure di protezione” del bilancio eseguito in regime di gestione concorrente.

 

  1. La questione

L’idea di integrare nel ciclo del bilancio pubblico meccanismi di condizionalità non rappresenta certo un’assoluta novità sul proscenio eurounitario. Già dalla programmazione 2000-2006 la condizionalità è annoverata tra i capisaldi dell’attuazione dei Fondi SIE (unitamente ai principi di concentrazione, programmazione, addizionalità e partenariato).

Più in generale, potremmo affermare che afferisce alla stessa fisiologia di ogni finanziamento europeo la necessità di subordinarne la concessione all’osservanza di precise condizioni ex ante o anche – come accaduto in relazione alla dimensione espansiva della programmazione relativa al NextGenerationEUex post[3].

È risaputo che le violazioni dei principi dello Stato di diritto, in particolare quelle concernenti il corretto funzionamento delle autorità pubbliche e del potere giurisdizionale, ledano gravemente gli interessi finanziari dell’UE. Infatti, l’erogazione di prestazioni nel settore socio-assistenziale intanto può essere assicurata alla generalità dei cittadini in quanto le politiche redistributive in cui si concreta l’interventismo pubblico non vengano minate da politiche discriminatorie.

Proprio per scongiurare lesioni dei principi dello Stato di diritto suscettibili di compromettere la sana gestione finanziaria dell’Unione[4], allora, dal 2020 sono attivabili misure quali la sospensione dell’erogazione dei versamenti, dei pagamenti e degli impegni, la riduzione dei prefinanziamenti o dei vantaggi economici, il divieto di assumere nuovi impegni giuridici e l’obbligo di rimborso anticipato dei prestiti garantiti dal bilancio dell’Unione.

Nondimeno, tralasciando le difficoltà incontrate nel rintracciare all’interno dei Trattati istitutivi il fondamento normativo (primario) del sopracitato meccanismo di condizionalità orizzontale[5], decisamente ottimistico appare il proposito di contrastare con uno strumento dalle coordinate applicative così indeterminate le paventate divaricazioni dai principi dello Stato di diritto di alcuni Paesi membri.

Il riferimento è in primis a Polonia e Ungheria, le cui legislazioni interne sono state più volte tacciate di mettere a repentaglio l’indipendenza del potere giudiziario, nonché i diritti dei richiedenti asilo e dei membri della comunità LGBTQ+[6].

 

  1. Le lacune. Possibili linee di intervento.

Il reg. 2020/2092 presenta molteplici lacune, che saranno di seguito evidenziate.

 

   A) Demandando alla Commissione un potere di proposta di sospensione dei fondi assegnati senza null’altro aggiungere, il regolamento si è focalizzato soltanto su talune delle condizionalità ex post. Ha inteso potenziare cioè unicamente il momento dell’attribuzione alla Commissione di un potere paralizzante-sanzionatorio, a seguito della (negativa) verifica di efficacia dell’attuazione dei fondi stanziati.

Di contro, del tutto assenti rimangono quelle altre forme di premialità, denominate “riserve di performance”, che dovrebbero anch’esse connotare la fase ex post della condizionalità, onde incentivare gli sforzi contabili degli Stati trasgressori che agiscano in “ravvedimento”, tentando di recuperare sinergia e complementarità tra il loro bilancio nazionale e quello dell’Unione.

Orbene, corroborare il ruolo “punitivo” della Commissione può rivelarsi una via efficace nella misura in cui venga parimenti garantita allo Stato inottemperante la possibilità di contabilizzare in tempi celeri e certi le (eventuali) misure correttive intraprese, senza però affidare alla stessa Commissione anche l’ulteriore potere unilaterale di sindacarne il grado di meritevolezza, com’è accaduto nel “caso Ungheria”[7]. Altrimenti, più che mirare realmente al ripristino della legalità violata nello Stato inadempiente[8], un sistema così congegnato rischierebbe soltanto di avere quale unico (e deleterio) effetto quello di impattare negativamente sui destinatari e beneficiari finali (imprese e famiglie).

Sennonché, un siffatto scenario sarebbe esattamente quello che il regolamento de quo mira ad evitare in radice. Né può rappresentare una remora a tale esito la mera enunciazione di principio (v. considerando 19) per cui, dal momento che «in regime di gestione concorrente i pagamenti effettuati dalla Commissione a favore degli Stati membri sono giuridicamente indipendenti dai pagamenti effettuati dalle autorità nazionali a favore dei beneficiari», le «opportune misure adottate a norma del presente regolamento non dovrebbero […] incidere sulla disponibilità di finanziamenti per i pagamenti a favore dei beneficiari» finali.

 

   B) Non sono comunque predeterminabili in maniera certa e secondo canoni comuni le stesse anzidette “opportune misure” la cui adozione, secondo la ratio del legislatore europeo, non dovrebbe comunque impattare sui destinatari privati finali.

Risulta altresì deficitaria, infatti, la declinazione ex ante della condizionalità. Ergo, in presenza di requisiti di partenza eterogenei negli assetti amministrativi e organizzativi dei diversi Stati membri, non è chiaro quali siano le procedure giuridico-contabili comuni esperibili per assicurare parità di trattamento ai diversi bilanci nazionali coinvolti.

In proposito, giova segnalare che si è rivelato sinora fallimentare lo stesso tentativo del successivo regolamento 2021/1060 (c.d. “regolamento sulle disposizioni comuni”), di fissare “condizioni abilitanti” comuni per tutto il ciclo di programmazione (dall’approvazione del programma di finanziamento alla rendicontazione)[9]. Detto regolamento s’è limitato di fatto a sancire disposizioni finanziarie omogenee applicabili solo a otto fondi europei attuati in regime di gestione concorrente, nell’ambito della programmazione pluriennale 2021-2027.

 

   C) Il legislatore finanziario dell’UE non si è peritato di indicare un parametro comune da adottare nemmeno a fronte di casistiche assai ricorrenti che presumibilmente potrebbero determinare una considerevole rimodulazione al rialzo dei massimali degli stanziamenti di impegno fissati dal QFP.

Accade sovente, infatti, che i soggetti pubblici attuatori di un Paese membro adottino un numero significativo di autorizzazioni di spesa che, quantunque non soggette a rendicontazione per il loro carattere provvisorio (si pensi tipicamente agli “ordini di provvista fondi” nella nostra contabilità finanziaria pubblica), abbiano già impegnato il bilancio nazionale per importi significativi che, nelle linee previsionali, dovrebbero essere poi “compensati” contabilmente da corrispondenti versamenti dell’UE.

Ebbene, cosa accadrà allorché l’erogazione di simili versamenti allo Stato trasgressore venga improvvisamente sospesa su input della Commissione? Posto che simili impegni provvisori diverranno definitivi per un importo pari ai pagamenti contabilizzati alla chiusura dell’esercizio, come impedire che essi rimangano del tutto privi di copertura finanziaria laddove i versamenti attesi previsionalmente risultino poi interrotti?

Il punto potrebbe avere effetti pregiudizievoli a catena nel caso dei nostri Enti locali (logicamente, qualora un giorno fossero sospesi anche gli stanziamenti destinati all’Italia), posto che l’art. 183, comma 8, Tuel, per l’ipotesi in cui il responsabile della spesa abbia adottato impegni di spesa senza accertare previamente la compatibilità del programma dei conseguenti pagamenti con le regole del Patto di stabilità interno, si limita a stabilire:

  • a) la (qui poco utile) responsabilità disciplinare ed amministrativa del responsabile persona fisica;
  • b) l’obbligo per l’amministrazione di adottare non altrimenti specificate «opportune iniziative, anche di tipo contabile, amministrativo o contrattuale».

 

   D) Un’ultima discrasia su cui il legislatore dell’UE è chiamato ad intervenire il prima possibile attiene alle stesse modalità temporali di imputazione delle spese impegnate.

Invero, nel nostro sistema contabile le concessioni di credito vengono imputate all’esercizio finanziario in cui è adottata la delibera di concessione del finanziamento (che ne prevede anche le specifiche modalità di rimborso sulla base di un apposito piano finanziario). L’impegno di spesa ed il corrispondente accertamento di entrata[10] sono imputati al medesimo esercizio, vale a dire quello nel quale l’importo del prestito è esigibile.

Questo sistema di imputazione non è riscontrabile in tutti i sistemi contabili interni dei vari Paesi membri, il che potrebbe determinare sfasamenti – anche dell’ordine di un anno – nella restituzione della liquidità da parte degli enti indebitatisi.

 

 

[1] Il presente contributo è frutto della collaborazione di Damiano Carmelo Paternò e Silvia Pignatelli.
[2] Sul punto, L. PECH e K.L. SCHEPPELE, Illiberalism Within: Rule of Law Backsliding in the EU, in Cambridge Yearbook of European Legal Studies, vol. 19, December 2017, 3 ss.; B. NASCIMBENE, Il rispetto della rule of law e lo strumento finanziario. La “condizionalità”, in Eurojus, 3, 2021.
[3] Per una disamina più compiuta si rinvia a C. ADAM, G. CHAMBAS, P. GUILLAUMONT, S.G. JEANNENEY, Performance-based conditionality: a European perspective, in World development, 2004, 6, 1059 ss.
[4] Secondo le linee guida sull’applicazione del reg. 2020/2092, dettate dalla stessa Commissione, sussiste ex se un nesso eziologico tra le violazioni della rule of law (che non rappresentano un numero chiuso) e il pregiudizio arrecato agli interessi finanziari dell’UE, poiché dette violazioni «possono comportare, in particolare, l’assenza di garanzia che spese coperte dal bilancio dell’Unione soddisfino tutte le condizioni di finanziamento previste dal diritto dell’Unione» (par. 15).
[5] Tale appiglio a livello di normazione primaria è stato da ultimo individuato nell’art. 317 TFUE, che, però, è una mera norma di principio “debole”: si limita, infatti, a sancire l’obbligo per la Commissione di dare esecuzione al bilancio in cooperazione con gli Stati membri, sotto la propria responsabilità, nei limiti dei crediti stanziati, in conformità del principio della buona gestione finanziaria e in base alle disposizioni regolamentari ex art. 322 TFUE, che enunciano le regole finanziarie sulle modalità di formazione e di esecuzione del bilancio dell’Unione, sul rendiconto e sulla verifica dei conti.
[6] P. MORI, La questione del rispetto dello Stato di diritto in Polonia e in Ungheria: recenti sviluppi, in Federalismi, 8, 2020; G. DE BURCA, Poland and Hungary’s Eu membership: On not confronting authoritarian governments, in International journal of constitutional law, 2022, 1, 13 ss.
[7] L’Ungheria è, infatti, ad oggi l’unico Stato nei cui confronti è stato attivato il meccanismo di condizionalità, in considerazione delle sistematiche situazioni di conflitto di interesse nel settore degli appalti pubblici e dell’inefficace lotta alla corruzione. Nel dicembre 2022, su proposta della Commissione, il Consiglio ha imposto la misura della sospensione di impegni relativi a tre programmi in tema di politica di coesione, per un’incidenza di bilancio ammontante a circa 6,3 miliardi di euro.
[8] Basti considerare che, nei confronti di Polonia ed Ungheria, non sono bastate sinora neppure le numerose procedure d’infrazione avviate dalla Commissione a norma dell’art. 258 TFUE e culminate in sentenze della CGUE. Cfr. CGUE, C-585/18, C-624/18 e C-625/18; CGUE, C-619/18, Commissione c. Polonia; CGUE, C-192/18, Commissione c. Polonia; CGUE, C-286/12, Commissione c. Ungheria.
[9] Con tale espressione si fa riferimento a quei fattori normativi e strumentali la cui sussistenza garantisce al contributo, sin dalla sua approvazione, di esplicare il massimo beneficio. Al loro riscontro è dunque subordinato il trasferimento di competenza e di gestione allo Stato membro delle risorse messe a disposizione dal bilancio comunitario a valere sul fondo stanziato.
[10] È tale il momento in cui: è stipulato il contratto di mutuo; è perfezionato il prestito; è emanato il provvedimento di concessione del finanziamento (in forza di speciale disposizione di legge).

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